L’arte di incidere con una punta metallica incandescente (piromatita) un tracciato eseguito su legno, cuoio, sughero od altro, ha accompagnato per secoli l’inventiva dell’uomo. Questa metodologia espressiva, tecnicamente chiamata pirografia, era usata per rendere più belle e più gentili cose della vita di ogni giorno. La decorazione del legno con il fuoco però a partire dal Medio Evo europeo ha assunto la forma di vera arte e lo dimostra il principe delle incisioni, cioè Albrecht Durer che, nella sua vasta e bellissima produzione, ha lasciato incisioni fatte con attizzatoi a fuoco. Rembrandt e Picasso, due colossi della pittura mondiale, si sono pure cimentati con questa arte.
Ora Luciano Donini che vive e produce arte in quel di Teglie, dove è nato nel 1947, in un ameno gruppo di case antiche perennemente baciate dal sole che dominano buona parte della media Valle Sabbia e che assecondano, con le particolari atmosfere di luce e di colori, le potenzialità artistiche di coloro che hanno l’animo creativo, con questo suo inno espressivo ha creato una galleria artistica di alta qualità e di forte ispirazione.
L’attuale approdo è però il risultato di quarant’anni di continuo impegno con la frequenza di robusti artisti, come Garosio, e di scuole d’arte, come a dire di una tenace volontà assecondata dalla vena poetica e da quel demone creativo che si chiama arte. Il viaggio artistico che compone fra le chiese e le rocche in un perimetro geografico che abbraccia la valle del Chiese e le stupende colline della Valtenesi, diventa così l’occasione per compiere un viaggio poetico e per dimostrare il possesso di unapreziosa tecnica che non ammette errori perché l’uso della punta metallica incandescente che incide, accarezza o sfuma la viva materia del legno non permette ripensamenti. Il risultato è di tutto rilievo. Il disegno è fluido, le tonalità richiamano l’atmosfera delle carte ingiallite dal tempo, delle vecchie stampe, o meglio, parlano di storia e delle ore che passano seguendo le vicende degli uomini e delle cose. Il paesaggio fissato sul legno mantiene tutte le sue profondità prospettiche e le sfumature date dall’uso sapiente della punta metallica evocano la ricchezza dei colori, come se si concentrasse nel timbro monocromo tutto l’universo coloristico della natura.
Dalla chiesa di Treviso Bresciano, a quella di Promo di Vestone, alle antiche dimore sul Chiese a Sabbio, al borgo antico di Raffa, al castello di Puegnago con la torre che domina un paesaggio da capogiro, alle altre rocche e chiese della Valtenesi, Luciano Donini compie una traiettoria stimolante, fissa sulle tavole di legno tutte le provocazioni poetiche che le bellezze della natura e quelle delle antiche architetture, segni della storia delle idealità e delle potenzialità degli uomini che camminano sul sentiero della vita, tra le luci e le ombre dell’esperienza di ogni giorno, sollecitano al suo animo d’artista attento, impegnato, desideroso di cimentarsi con tecniche poco usate.
Veramente mentre si osservano le opere di questo artista che non fa clamore ma è sicuramente colmo di potenzialità poetica e di attitudine alla ricerca, si ripercorre un viaggio che non è soltanto un tuffo nel paesaggio e nella storia ma un colloquio con l’animo e con i migliori sentimenti dell’uomo.
Luglio 2008 Prof. Alfredo Bonomi
Sorprendente. Così definirei l’arte di Luciano Donini. Il quale si affida al pirografo per trarne straordinarie, originalissime composizioni tutte da ammirare e da gustare.
Donini ha alle spalle esperienze molteplici, da vero eclettico. Si è misurato pure con la pittura a olio, e con esiti più che lusinghieri. Poi, la matrice disegnativa che in lui è sempre stata palese, e preponderante, si è fatta largo, sino a sfociare in una scelta non comune, legata a una tecnica antica e tuttavia oggi per nulla, o quasi, frequentata.
La pirografia è pratica che richiede idee chiare, polso fermo, visione d’insieme. E infinita, certosina pazienza. Un’opera di Donini può voler dire anche due mesi di lavoro minuzioso, di ininterrotta applicazione. Un esame attento e ravvicinato consente di apprezzare le modalità esecutive, sovente al limite del virtuosismo, dell’artista. La naturale rigidità del medium risulta dimenticata, piegata a determinare esiti di insospettate morbidezze, all’insegna di velature, sfumati, varianti tonali che sembrano negare, sublimandolo, il concetto stesso di monocromia insito in questo strumento espressivo.
Scoperta la pirografia, Luciano Donini vi ha mosso i primi, prudenti passi nel solco della tradizione, sia a proposito dell’individuazione dei soggetti che per la resa impaginativa. I luoghi della memoria - case, chiese, scorci di paesaggio - erano riferiti con mimetica, affettuosa trepidazione, quasi dagherrotipi di un tempo passato da tramandare alla posterità.
In seguito, Donini ha impresso al proprio itinerario creativo una sterzata decisa, un radicale cambio di direzione. Non a caso ho usato, all’inizio, l’aggettivo “sorprendente”. Basta un’occhiata alle opere esposte in questa mostra, per rendersene conto. Opere davvero uniche, rivelatrici di una solida personalità e di un’altrettanto solida cultura pittorica, filtrata e mediata dall’esperienza. Non è un mistero, ad esempio, che il nostro artista abbia, fra i grandi maestri, una predilezione per Bruegel: e qua e là, nelle complesse architetture delle sue tavole, si discerne il tributo alle mirabilia lenticolari di Dürer, da un lato, e alle invenzioni trasfiguranti di Bosch, dall’altro.
Le tavole di Donini non abdicano mai a una funzione narrativa. Raccontare attraverso l’immagine vi appare quale missione necessaria e ineludibile. E tuttavia l’autore sa scansare con intelligenza le pastoie di un’arte scopertamente e scontatamente “pedagogica”. Sia che egli consegni all’opera la responsabilità di messaggi universali (si veda, in mostra, Fragilità ambientale), sia che ne faccia specchio di microstorie individuali, giocate sull’incerto confine che divide realtà e surrealtà, precisioni anatomiche e deformazioni espressionistiche, ironia e malinconia (come per Sonata inter/rotta al chiaro di luna, o Donna grassa che ricama in poltrona), sempre il suo racconto si dipana per simboli, allusioni, alfabeti, lacerti iconici da decrittare.
Luciano Donini riconosce al pubblico un ruolo fondamentale, non inferiore a quello dell’artista. Lo invita a una compartecipazione, lo prende per mano e lo sfida a svolgere la matassa - peraltro mai aggrovigliata - delle sue affabulazioni, a cogliere, lungo l’ordito delle sue tessiture brunite, gli accadimenti e le metafore che vi ha disseminato. Lo sfida, insomma, a entrare nel suo sogno: e - continuando a tenerlo per la mano - a scoprirne, insieme a lui, i più riposti significati.
Enrico Giustacchini